Autorità, Devozione e la Gerarchia Iniziatica
Il concetto di Maestro e la necessità di una Guida qualificata e legittima rappresentano il fulcro ineludibile di ogni genuino percorso esoterico e spirituale. L'illusione contemporanea dell'autosufficienza spirituale, promossa in gran parte dall'aberrazione New Age, si configura come il più grande inganno per il praticante, un vicolo cieco che non conduce alla Reintegrazione, ma all'isolamento narcisistico e alla mediocrità.1. La Funzione Ineluttabile del MaestroNon esiste ambito della conoscenza umana, dal mestiere più umile all'ingegneria più complessa, che non richieda l'apprendimento da chi già sa. La pretesa di essere Maestro di Sé Stesso (nel senso di non necessitare di alcuna guida) fin dall'inizio del cammino è un atto di superbia e ignoranza.
Non esiste ambito della conoscenza umana, dal mestiere più umile all'ingegneria più complessa, che non richieda l'apprendimento da chi già sa. La pretesa di essere Maestro di Sé Stesso (nel senso di non necessitare di alcuna guida) fin dall'inizio del cammino è un atto di superbia e ignoranza.
La Guida non è solo un dispensatore di nozioni, ma il mediatore di una realtà metafisica che trascende la comprensione ordinaria. Egli ha percorso la Via, ne conosce le trappole e possiede il Carisma Spirituale (o Bisca / Wang nella terminologia tibetana, o Dīkṣā / Śaktipāta in quella induista) per trasmettere l'inizio del sentiero, l'iniziazione, al discepolo.
Sebbene il praticante debba, in ultima analisi, realizzare il Maestro Interiore (la scintilla divina, il jna della Cabala, l'unione di Chiara Luce), tale realizzazione non è un punto di partenza, ma un punto d'arrivo raggiunto anche grazie alla guida del Maestro Esterno (la persona qualificata) e con l'ausilio di una Terza Fonte (la base universale, la Gyalwang tibetana).
La Qualifica: La Qualifica: Il vero Maestro, in senso occidentale (super-tecnico o specialista), è colui che ha realizzato gli insegnamenti in sé e che, in Oriente (il Guru), è colui che distrugge l'oscurità (Gu - oscurità, Ru - distruggere). Non è un santone che chiede cieca fede o sottomissione servile, ma colui che chiede lavoro interiore e autentica devozione.
L'opposizione all'autorità del Maestro e alla necessità di una Gerarchia spirituale è un sintomo della decadenza occidentale e si manifesta in due forme interconnesse:
A. L'Individualismo Mediocre e il Narcisismo del "sono spirituale": L'individualità occidentale odierna è spesso una maschera di narcisismo, una pretesa di mediocrità elevata a virtù, per la quale si rifiuta ogni insegnamento esterno (l'atteggiamento del "tu non mi puoi insegnare nulla" o equivalente "tutti possono insegnare" ma sono IO a stabilirlo). Questa mentalità è alimentata da un relativismo pseudo anarcoide liberale e "fluido" (Fluid Age), dove ogni forma di verità oggettiva, logica o gerarchia è vista come autoritaria e quindi da respingere.
a proliferazione di pseudo-insegnamenti e la confusione terminologica, tipiche dell'ambiente New Age, sviliscono i concetti spirituali a "chiacchiere" e "fregnacce". L'idea che chiunque possa essere la propria guida, o che il sapere spirituale non richieda uno studio intensivo e una pratica rigorosa (il "studiare come dei muli instancabili"), è profondamente contro-iniziatica. La verità è una realtà oggettiva (uguale per tutti a parità di parametro) e le realizzazioni, come dimostrato dalle esperienze coerenti tra le diverse tradizioni (monaci cristiani e praticanti di Tinel-Anong tibetano), sono ripetibili e universali. Le vie autentiche arrivato TUTTE alle stesse conclusioni a dimostrazione dell'oggettività della realtà, della conoscenza e della verità!
"Un ostacolo lo abbiamo nelle idee formatorie rispetto a ciò che una scuola dovrebbe essere. Il futuro studente, invece di desiderare di apprendere cosa è una scuola, come funziona, cosa richiede, ha già una sua idea di come il maestro dovrebbe essere, di come una scuola andrebbe organizzata. In altre parole vuole insegnare, non apprendere: vorrebbe una scuola che riflettesse proprio quegli aspetti meccanici che ora non può vedere e che lo tengono nel sonno. Questo ostacolo si inserisce in un ambito più grande, che potremmo definire ‘Non saper o non voler rinunciare all’auto-volontà’. In una scuola si osserva e riconosce che ciò che abbiamo finora chiamato volontà non è che un moto meccanico risultante dal garbuglio dei nostri desideri, da cui di tanto in tanto emerge un io più forte degli altri. Chiamiamo quest’io: ho deciso. Voglio. So cosa devo fare, e così via. In ambito di scuola, si rinuncia per un certo periodo a questa pseudo volontà per sottoporsi alla volontà di un maestro. Suona pericoloso, non è vero? Ma succede in qualsiasi scuola: di matematica, di violino, di ricamo. Lo studente di una scuola deve imparare a mantenere il delicato equilibrio che gli consente uno sguardo critico, un atteggiamento non fideistico; e, allo stesso tempo, rinunciare talvolta a certe preferenze personali, alle proprie opinioni più care, sapendo che proprio esse rappresentano quelle identificazioni che non sono altro che le sbarre della prigione da cui desidera evadere. "
— Gurdjieff, Quarta Via
In un'epoca dominata da un individualismo esasperato, dove l'idea di autosufficienza permea ogni aspetto della vita quotidiana, il percorso spirituale rischia di trasformarsi in un labirinto di illusioni. Molti credono di poter navigare le acque profonde della coscienza interiore senza una guida, convinti che basti la propria intuizione per raggiungere l'illuminazione. Eppure, le antiche tradizioni esoteriche e spirituali di Oriente e Occidente insegnano l'opposto: la vera maestria di sé emerge solo attraverso l'incontro con un maestro autentico, un catalizzatore che dissolve le ombre dell'ego e accende la scintilla divina. Questo articolo esplora il ruolo essenziale del maestro nel cammino evolutivo, smascherando i tranelli del narcisismo moderno e illustrando, attraverso esempi radicati nelle saggezze millenarie – come le vicende di figure storiche quali Jiddu Krishnamurti, Osho, Milarepa, Marpa, Naropa, Tilopa e altri – come l'arrendersi a una guida superiore sia il primo passo verso la libertà autentica.
Partiamo dal grande inganno contemporaneo: l'idea che si possa essere maestri di se stessi fin dall'inizio, senza bisogno di un mentore esterno. Questa convinzione affonda le radici in una mentalità occidentale fluida e anarchica, dove l'individualismo non è sinonimo di forza interiore, ma spesso di un narcisismo infantile. Immaginate un giovane che, rifiutando ogni autorità, proclama: "Nessuno può insegnarmi nulla". Questo atteggiamento non è vera indipendenza, bensì una mediocrità camuffata da ribellione.
Le tradizioni spirituali insistono su questo punto. Nell'induismo, ad esempio, il concetto di guru deriva dalle radici sanscrite "gu" (oscurità) e "ru" (distruggere): il guru è colui che annienta l'ignoranza, agendo come un pianeta massiccio – simile a Giove nell'astrologia vedica – che schiaccia ogni illusione residua. Non è una figura fisica dominante, ma un ologramma divino che dissolve l'ego personale. Un vero guru non cerca discepoli; sono questi ultimi a doverlo trovare, spesso scalando montagne metaforiche o reali, come l'Himalaya, per dimostrare la loro serietà. Pensate a un antico saggio isolato in una grotta: non bussa alla porta di nessuno, ma attende chi è pronto a sacrificare tutto per la verità. Osho, il mistico indiano noto per il suo approccio provocatorio e iconoclasta, descriveva questo processo con umorismo tagliente, paragonando il discepolo a un "mona" (un sempliciotto in dialetto veneto) che deve cercare il maestro con devozione autentica, non con pretese egoistiche. Per Osho, il vero discepolo si arrende completamente, tagliando metaforicamente la testa e offrendola al guru, simboleggiando l'abbandono totale dell'ego per raggiungere l'unione divina.
Osho, il mistico indiano noto per il suo approccio provocatorio e iconoclasta, descriveva questo processo con umorismo tagliente, paragonando il discepolo a un "mona" (un sempliciotto in dialetto veneto) che deve cercare il maestro con devozione autentica, non con pretese egoistiche. Per Osho, il vero discepolo si arrende completamente, tagliando metaforicamente la testa e offrendola al guru, simboleggiando l'abbandono totale dell'ego per raggiungere l'unione divina.
In Occidente, il maestro assume una connotazione più tecnica, simile a un artigiano esperto che trasmette un mestiere. Ricordate l'apprendistato medievale, dove il novizio lavorava duramente senza compenso, "rubando" il sapere dal mentore? Allo stesso modo, nel cammino esoterico, il maestro è un tecnico specializzato che ha padroneggiato il lavoro interiore e lo insegna ad altri. Non è un santone carismatico che esige obbedienza cieca, ma un guida che opera su livelli gerarchici precisi: l'iniziato è il principiante che riceve la trasmissione; l'adepto è colui che ha sviluppato le basi e può consigliare; il maestro, infine, gestisce e trasmette la realizzazione. Questa gerarchia ferrea è universale: nelle tradizioni iniziatiche, ignorarla significa perdersi in vani tentativi solitari.
Un aspetto cruciale è l'atto di prostrazione, spesso frainteso dall'uomo occidentale come umiliazione. In realtà, inchinarsi non è sottomissione servile, ma un gesto yogico per sciogliere i blocchi energetici. Nel saluto al sole dello hatha yoga, il corpo assume posizione di cobra per far fluire il prana attraverso i chakra. Nel buddismo tibetano, le prostrazioni brevi o lunghe attivano i nove punti segreti del corpo sottile, scaricando negatività e illusioni. Immaginate di stendervi completamente a terra, per poi rialzarvi rapidamente con le mani alzate verso il cielo: è un simbolo di resa allo spirito, non a una persona. Questo atto non è passivo, ma richiede una consapevolezza attiva, una resa interiore che dissolve il sacco di sassi che l'ego porta sulle spalle. Come insegna la tradizione, arrendersi non significa piegarsi a un tiranno, ma fluire con una luce superiore, simile alla scintilla divina della cabala ebraica o alla chiara luce madre e figlio nel tantra tibetano.
Esempi storici illustrano vividamente questo principio. Considerate la relazione tra Milarepa, il celebre poeta e yogi tibetano dell'XI secolo, e il suo maestro Marpa, un maestro e detentore di lignaggi tantrici. Marpa, un pastore nomade che viveva in una tenda con le capre, lanciava pietre a Milarepa ogni volta che questi si prosternava da lontano durante i loro incontri. Ogni sasso conteneva un'iniziazione tantrica, trasformando il dolore fisico in trasmissione spirituale. Dopo anni di prove estreme – tra bastonate, umiliazioni e compiti apparentemente assurdi come costruire e demolire torri – Milarepa realizzò la natura della mente, rompendo l'illusione dualistica e raggiungendo l'illuminazione. Un altro esempio coinvolge Naropa, un erudito indiano del X secolo, e il suo guru Tilopa, un maestro errante e non convenzionale. Naropa impiegò dodici anni in prove atomiche, inclusi compiti folli e fallimenti ripetuti, culminati in una sessione finale dove Tilopa lo bastonò per un residuo egoico. Solo allora, con l'umiltà totale, Naropa ricevette l'iniziazione, frantumando il dualismo sottile. Queste storie non sono aneddoti crudeli, ma metafore di come il maestro frantumi l'ego, preparando il terreno per l'unione con il divino.
Un altro esempio potente viene dalla tradizione alchemica e iniziatica: immaginate un adepto che, dopo anni di prove, fallisce l'ultima sessione prima dell'iniziazione. Il maestro lo rimprovera: "Hai frantumato l'ego, ma resta un residuo dualistico". Solo allora, con l'umiltà totale, avviene la trasmissione. Senza andare tanto lontano nel tempo potete leggere nel libro "Introitus ad philosophorum lapidem" di Solazaref le "umiliazioni" e le botte del suo maestro alchimista. In Occidente, figure come i monaci benedettini in particolare i camaldolesi o i cistercensi praticano meditazioni che portano alle stesse esperienze di unione mistica raggiunte attraverso il chin mudra tibetano o lo yoga induista. La verità è oggettiva: a parità di parametri, le realizzazioni sono identiche, come il linguaggio verde degli alchimisti che permetteva ai maghi di comunicare oltre le parole, divenendo un linguaggio universale.
Tuttavia, il cammino è irto di tranelli. Molti ciarlatani sfruttano la decadenza delle istituzioni religiose, trasformando tradizioni autentiche in sette mediocri. Allora come riconoscere un vero maestro? Attraverso lo studio incessante e la verifica delle realizzazioni: un guru autentico è coerente con gli insegnamenti antichi, non richiede atti fideistici né ricchezza. Questo non significa che non si possano adattare insegnamenti alle nuove condizioni di vita "moderna" ma i principi devono rimanere gli stessi, quindi vuol dire che sicuramente quelle tradizioni sono state trasmesse per migliaia di anni con un sistema che oggi è quasi scomparso e cioè che gli individui non veniva riconosciuti per titoli ma per opere realizzate e inoltre che non tutti erano in grado di scrivere né di accedere a certe conoscenze garantendone il valore autentico.
In Europa oggi, ad esempio, solo poche figure – forse tre in tutta Europa, come Namkhai Norbu o maestri del lignaggio Karma Kagyu – raggiungono il livello di lama supremo o guru, dopo decenni di trasmissione diretta. La loro autorità deriva da esperienze verificate, non da chiacchiere. Lo studio è fondamentale per non farsi prendere in giro in modo banale da chi ad esempio millanta di darvi la possibilità di accedere ai Registri Akashici con un corso, inventandosi livelli inesistenti di accesso, (aberrazioni tipo primo livello, secondo livello ecc... ovviamente ogni livello costa di più ! vere e proprie truffe e abuso della credulità popolare), quando ci vogliono anni di sacrifici e percorsi esoterici seri, una purezza di intenti e una capacità di entrare nei propri mondi interiori che solo poche persone al mondo sono state in grado di raggiungere finora, mentre negli ultimi decenni sono migliaia a proporre questi corsi! Già questo dovrebbe farvi venire qualche dubbio... Quando sentite un termine e vi approcciate a una conoscenza prima di tutto cercate di studiare coloro che ne hanno parlato per primi e cosa dicevano a riguardo, questo vale per tutto, l'acqua di un fiume può arrivare fino al mare, ma come ci arriva? è fuor di dubbio che alla fonte è sicuramente pulita.
Critiche a figure controverse sottolineano questo punto. Prendete Jiddu Krishnamurti, il pensatore indiano del XX secolo che proclamava: "La verità è una terra senza sentieri". Questa affermazione ha confuso migliaia, equiparando lo spazio vuoto della mente alla realizzazione ultima, senza produrre discepoli illuminati. Negli ultimi anni della sua vita, Krishnamurti ricorse segretamente allo yoga tradizionale da un maestro di Madras, Krishnamacharya – il padre dello yoga moderno e insegnante di suo figlio Desikachar – rivelando l'incompletezza del suo approccio. Similmente, polemiche su entità protettrici nel buddismo tibetano – come Dorje Shugden, un guardiano associato alla scuola Gelug e protettore del mantra, manifestatosi al fondatore per tutelare l'insegnamento – derivano da lotte politiche interne, non da verità spirituali. Ogni lignaggio ha i suoi protettori, ma l'ignoranza ha portato a accuse di magia nera, ignorando che l'invasione cinese del Tibet fu causata da abusi interni, non da forze esterne.
Riguardo al Dalai Lama attuale, il quattordicesimo Tenzin Gyatso, la decisione di non cercare la sua prossima rinascita deriva da profezie della scuola Gelug: un maestro zen non può manifestare oltre dieci incarnazioni. Dal quinto Dalai Lama al quattordicesimo, il ciclo si chiude, anche se altre scuole come la Sakya prevedono numeri diversi, come 17 o 19 per i loro leader. Questo insegna che le tradizioni hanno limiti karmici: un insegnamento dura per un numero finito di generazioni, poi si evolve o termina.
Anche autori e conferenzieri possono fungere da "upa-guru", maestri secondari che preparano il terreno senza interazione diretta. Un nemico o un libro casuale potrebbe innescare un'evoluzione, ma solo se allineato alla via tradizionale. René Guénon parlava del upa-guru come facilitatore inconsapevole, ma sempre legato alla coerenza dottrinale. Nel Gruppo di Ur, un circolo esoterico italiano del XX secolo, figure come Julius Evola – filosofo e iniziato massonico irregolare – Massimo Scaligero, Arturo Reghini e Amedeo Armentano avevano ciascuno un maestro: Colazza per Scaligero, Armentano per Reghini. Il gruppo mirava a trasmettere insegnamenti per chi mancava di legami diretti, ma non sostituiva il maestro primario.
Per trovare un maestro, inizia con lo studio: identifica la tradizione più affine – cristiana esoterica, martinismo, ermetismo egizio, alchimia – e ricerca con pazienza. Non confondere l'entusiasmo iniziale con una vocazione autentica; una vera via ti tormenterà come un creditore implacabile, fino al colpo di fulmine dell'amore divino, simile al "mer" egizio, la radianza dell'essere.
Nelle tradizioni occidentali, come il martinismo originale di Louis-Claude de Saint-Martin – radicato nella cabala ebraica e nel culto cristico del "riparatore" ispirato a Sant'Agostino – o l'ermetismo tolemaico, l'obiettivo è la reintegrazione spirituale, simile alla moksha orientale. La differenza sta nel focus: l'Occidente cerca risultati immediati (l'uovo oggi), l'Oriente la liberazione finale (la gallina domani). Eppure, le leggi invisibili sono le stesse: masterizzare gerarchie angeliche nell'ermetismo o attivare shaktipat nell'iniziazione tantrica.
Un ritiro tibetano illustra la pratica: l'altare inizia ricco di statue e offerte, ma man mano si svuota, fino a un chicco di riso simboleggiante l'essenza della mente. Dopo anni di meditazione su scatole di legno, legati con corde, un yogi realizza: "Non potevate dirmelo prima?". No, perché le parole sono inutili senza esperienza. Chögyam Trungpa, un maestro tibetano esiliato, paragonava l'incontro con il guru a dormire in una gabbia con una tigre incinta: troppo vicino ti bruci, troppo lontano muori di freddo.
La resa interiore si applica anche ai problemi quotidiani: chinarsi ai propri limiti è un atto attivo, parte di un piano cosmico dove siamo pedine divine. Le vie sacre si difendono da sole: lo yoga è visto come ginnastica dalle masse, l'antroposofia come filosofia vaga, eliminando i non pronti.
L'illusione di autosufficienza spirituale è il grande inganno moderno. Solo attraverso un maestro – esterno, interno e segreto – si raggiunge la maestria di sé. Studia come un cannibale inferocito, pratica con devozione, arrenditi al divino.
"Ars longa, vita brevis" – La via è lunga, ma con una guida autentica, porta all'eterno.
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Labor Nobis, Fructus Aliis, Gloria Deo! (Il Lavoro a noi, i frutti agli altri e la Gloria a Dio!)